di Pino Cabras
Le elezioni in Georgia, così come quelle di pochi giorni fa in Moldavia, hanno un peso di gran lunga superiore a quello demograficamente modesto dei due paesi post-sovietici. E come sempre più spesso accade, del racconto dei media occidentali nulla – ma proprio nulla – serve a capire la verità dei fatti. Presentano ogni cosa come uno scontro fra democrazia di stampo liberale occidentale da una parte e autocrati filorussi dall’altra. Il tutto condito da manipolazioni estreme delle vicende storiche e delle cronache politiche.
Quelli che chiamano “filorussi” in realtà sono esponenti di formazioni politiche che a lungo – sino a poco tempo fa – hanno sostenuto un avvicinamento dei loro paesi alle istituzioni sovranazionali occidentali, UE e NATO. Solo che è avvenuto un importante cambiamento. Il problema che ora fa strillare come aquile spennate le cancellerie occidentali è che adesso queste personalità si sono accorte dell’immensa fregatura e si rifiutano di trasformare questo avvicinamento in un vassallaggio totalmente subalterno e dipendente dall’Occidente, interamente finalizzato ad aprire un altro fronte di guerra contro la Russia che avrebbe un prezzo distruttivo per i loro paesi. Hanno capito la dimensione spaventosa del baratro e capiscono che i pifferai che vengono da Ovest li stanno portando proprio lì.
Il primo ministro georgiano e fresco trionfatore delle elezioni, Irakli Kobakhidze, semplicemente non vuole essere come il presidente ucraino Volodymir Zelensky: non vuole trasformare il suo paese in una piattaforma ostile e russofoba di permanente provocazione militare e di sabotaggio sistematico della pace. Non vuole che la sua popolazione sia usata come “materiale di consumo” per i progetti di guerra di Washington, Londra e Bruxelles.
Idem si dica del candidato alla presidenza della Moldavia, Alexandr Stoianoglo.
Né Kobakhidze né Stoianoglo vogliono seguire le tragiche orme di Kiev.
Chi vuol essere Zelensky sono invece le due donne presidenti, entrambe con cittadinanza di paesi occidentali, Salomé Zourabichvili in Georgia (master alla Columbia University, allieva di Zbigniew Brzezinski), Maia Sandu in Moldavia (master ad Harvard e consulenze alla Banca Mondiale). Sono due fantocci – loro sì – disposti a guidare l’ennesima “Rivoluzione colorata” al prezzo di una guerra civile per imporre un’agenda interamente asservita alla combinazione bellicista NATO-UE e disposta a demonizzare, delegittimare in radice gli avversari politici assimilati al ruolo di “burattini di Mosca”.
Il commissario europeo Olivér Várhelyi lo scorso 23 maggio ha minacciato con toni mafiosi Kobakhidze adombrando la possibilità di fargli subire un attentato come quello subito da un altro bersaglio inviso a Bruxelles, il premier slovacco Robert Fico. Naturalmente i media nostrani chiamano “legge russa” una legge georgiana che – così come fanno i paesi occidentali, ma a Tblisi in modo addirittura molto più blando – vuole impedire che la politica nazionale sia condizionata dai finanziamenti diretti stranieri a organizzazioni locali. L’Occidente pretende cieca obbedienza e totale sacrificio degli interessi nazionali. Era dai tempi della favola del lupo e l’agnello che non si sentivano pretese così sfacciate: ma l’Occidente di oggi è ormai l’impero dell’arroganza ammantata di ipocrisia e tutti i paesi si regolano di conseguenza. La lingua di legno dei valori democratici e dei diritti umani declinati dagli esportatori di democrazia piace solo a pezzi dell’élite che vogliono i vantaggi miserabili della classica borghesia compradora mentre il loro paese viene svenduto ai padroni delle borse e ai loro scagnozzi.
Ormai si moltiplicano i paesi “di confine”, “in bilico”, che si trovano loro malgrado in mezzo alle faglie telluriche dei nuovi equilibri (pensiamo alla Serbia, ma sono tanti altri). Si trovano a dover scegliere se raggiungere questi nuovi equilibri (ancora incompleti e contradditori, ma estremamente attraenti e dinamici) del mondo BRICS in espansione, oppure se rimanere assorbiti dalla torsione totalitaria dell’atlantismo odierno. Sono perciò entrati in un’era drammatica di nuove turbolenze pronte a ricongiungersi in un unico fronte di guerra globale. Il fronte passa in mezzo alle loro rispettive società con blocchi sociali e politici contrapposti e incomunicanti, con la quota di élite atlantista pronta a portare tutti in guerra.
Se una divisione politica di questo tipo prende piede persino negli USA, dove i blocchi affrontano le elezioni pronti a delegittimarsi a vicenda, non c’è da meravigliarsi che il fenomeno dilaghi in tutti quei posti in cui l’egemonia del dollaro e dei suoi vassalli scricchiola in virtù di fatti materiali e interessi fortissimi, mentre si approntano alternative strategiche ed economiche planetarie che sono il tipico incubo di un impero in declino, come lo è quello delle talassocrazie anglosassoni.
Grazie Pino, bella disamina e analisi perfetta.