di Pino Cabras
Poco fa, mentre facevo zapping fra vari canali, ho visto in sequenza – con i tempi di un montaggio analogico sorprendente – gli scorci e le panoramiche degli strepitosi paesaggi del Chianti, delle Alpi, dei dintorni di Urbino e l’orizzonte di Capalbio. Ho provato a immaginarli punteggiati da pale eoliche alte 200 o perfino 300 metri, o coperti da ettari di metastasi fotovoltaiche. Ho provato a immaginare la sequela di articoli e articolesse indignati che riempirebbero le prime pagine delle principali testate una volta che tutti i loro bravi cronisti avessero scoperto progetti in grado di deturpare per sempre (PER SEMPRE) il Chianti, le Alpi, i dintorni di Urbino e l’orizzonte di Capalbio per il solo profitto di entità estranee a quei territori.
Non ho invece bisogno di immaginarle, perché le leggo sempre più numerose, le prese di posizione di quelle stesse testate che ora usano il tipico tono paternalista di chi dal ponte di uno yacht energivoro vuole insegnare al buon selvaggio il dramma del cambiamento climatico cui i sardi devono dare un decisivo contributo con i loro paesaggi da sacrificare, i loro terreni agricoli da trasformare in distese “agrivoltaiche”, i loro tremila anni di nuraghi da stuprare in un paio d’anni con le ferraglie giganti delle multinazionali, per trasformarli oggi in bit delle grandi borse valori e domani in un cimitero di ruggine e silicio esausto.
C’è chi vuole abusare della nostra pazienza. Ma la pazienza è finita. Il gioco è scoperto e solleva questioni radicali rispetto al finto green maneggiato da una finanza criminale e dai suoi maggiordomi coloniali. Quando le ferrovie italiane furono praticamente costruite deforestando mezza Sardegna per fare le traversine dei binari era un tempo in cui non erano avvenute certe prese di coscienza. Oggi è un altro tempo ed è bene che quella frazione di borghesia compradora e coloniale che vorrebbe ripetere in nuove forme il saccheggio della Sardegna se ne renda conto. Non pensino di passarla liscia. Non daremo tregua.